LEO MATIZ FOR FRIDA KALHO

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La ricerca di Matiz spaziò dal ritratto di numerosi soggetti del suo tempo, uomini di cultura, scrittori, attori e attrici, grandi uomini politici, e quindi l’incontro con gli ambienti colti, vicini all’arte, che lo stimolarono alla lettura dell’interiorità, e con altrettanto interesse “immortalò” i ceti meno abbienti, la sofferenza e il dolore, l’umiltà e la solidarietà, tutte esperienze di immagini raccolte durante la sua lunga carriera di fotoreporter.

La ricerca di Matiz spaziò dal ritratto di numerosi soggetti del suo tempo, uomini di cultura, scrittori, attori e attrici, grandi uomini politici, e quindi l’incontro con gli ambienti colti, vicini all’arte, che lo stimolarono alla lettura dell’interiorità, e con altrettanto interesse “immortalò” i ceti meno abbienti, la sofferenza e il dolore, l’umiltà e la solidarietà, tutte esperienze di immagini raccolte durante la sua lunga carriera di fotoreporter.
Matiz, nel suo percorso artistico, si è espresso anche attraverso il nudo, assimilandolo alla natura e all’ambiente circostante, in cui la virilità convive con l’impotenza dinnanzi alla grandiosità e alla superiorità della natura, quindi il nudo come metafora della condizione umana, soprattutto del suo tempo.
Tra i lavori più interessanti vi è certamente il lungo reportage su Frida Cahlo, in questa mostra esaustivamente rappresentato.
L’interesse di Matiz si concentra questa volta sullo “stato d’animo”, impresso nell’immagine fotografica con estrema naturalezza.
“La passione di Frida” è il fil rouge “delle numerose fotografie scattate ad una donna il cui carattere, la cui determinazione, nonostante il corpo deturpato da un terribile incidente, si mo­strano con grande evidenza espressiva del volto e nella soffe­renza che, contemporaneamente traspare”, da questa intui­zione critica di Serena Oliveri, riportata nel testo del catalogo della mostra su Leo Matiz “l’eloquenza del silenzio” tenutasi a Melbourne nel 2005,  è tratto il tema di questa nuova proposta dedicata al grande fotografo.
Leo Matiz è riuscito a far emergere la conflittualità interiore di Frida, una dolcezza che è allo stesso tempo “indurita” dalla sofferenza fisica: i suoi tratti somatici e la sua espressività diventano lo specchio di quell’animo ribelle, inquieto, lacerato dalle sofferenze, ma mai renitente. Di Frida sono colti i diversi attimi di un movimento, di una posa. Fotografie apparentemente uguali mostrano, spesso, la consequenzialità di una circostanza, come se fossero dei fotogrammi. Anche qui la natura penetra nella fotografia, partecipando dello stato d’animo della protagonista, anche solo attraverso un’ombra, una foglia, un paesaggio che si intravede attraverso delle finestre.
Il percorso espositivo della mostra è fedele alle scelte di Leo Matiz nell’impostare il suo reportage, egli ha proposto il personaggio partendo da un primo piano, da un mezzo busto, da un intero, con o senza ambientazione scenografica, per passare poi allo studio della pittrice.
Un quadro, le tavolozze, i colori, la luce, e quegli elementi che personalizzano l’ambientazione dello studio di Frida: uno specchio e la sedia a rotelle, entrambi strumenti indispensabili al suo lavoro.
Frida e Diego Rivera, Frida nella “casa blu”, Frida ed i suoi allievi. Nell’ambito di una serie di foto che vedono Frida come soggetto, anche la “rappresentazione” dell’ambiente in cui ella trascorse gran parte della sua vita è suggestiva. E qui la fotografia diventa lo strumento tramite il quale Matiz fa percepire la presenza di questa donna anche quando non la si vede direttamente fotografata, quindi la presenza-assenza di Frida, il suo silenzio, la sua ribellione, la sua fermezza, l’ostinazione e l’istintività che confluiscono nell’istantaneità degli scatti.
Paolo Minacori

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