Nell’estate del 1953, soggiornando ad Agrigento, Nicholas De Staël, grande pittore della sintesi e del dominio della visione, era rimasto folgorato dai colori saturi di luce, dagli orizzonti risoluti, dall’organizzazione plastica del paesaggio, dalle sue topografie. Proprio qui, i suoi colori si erano riaccesi violentemente (dopo una produzione cupa e tendente alla monocromia). Produsse una grande quantità di disegni e di appunti che poi, pregno di quelle visioni, trasformò in un memorabile ciclo di opere dedicate al nostro paesaggio.
  Proprio così: pare che qui da noi, ad Agrigento, bisognerebbe essere stranieri (oltre che genialmente sensibili) per entrare in intimità con la visione d’insieme, con l’anima stessa della forma che dal Caos (parola che sembra forgiata proprio qui) si riordina nelle forme e in una lingua primordiali. Oppure è così anche quando si è già stranieri “a casa propria”, nella propria terra natìa, come mi appaiono la pittura e lo sguardo di Marilina Marchica, agrigentina di anagrafe e di fatto.
  Se ho usato, in controluce, il ricordo, forse a pochi noto, di De Staël ad Agrigento, per introdurre la pittura di Marilina, è proprio perché il sotterra che nutre il lavoro della nostra artista è lo stesso che ha nutrito il lavoro dell’artista russo-francese, la medesima ossessione: trascinare la realtà alle soglie dell’astrazione, come uno scalpo portato in dote, un baratto di guerra, la comprova di essere riusciti a giocare e a battere quella che gli artisti delle avanguardie chiamavano (-termine oggi alquanto lontano-) “la visione oggettiva della realtà”: il confine da superare.
  Ciò che però rende originale, e non emulativo, il lavoro di Marilina è proprio la rarità odierna di un codice visivo come il suo (geneticamente inscritto nel côté espressionista- informale-materico), per una giovane artista come lei, specialmente se guardiamo il contesto della sua generazione quasi interamente fagocitata dall’ondata dei neoinstallatori di ritorno, dai pittori consacrati alla fotomania, di fotografi ricettatori di antiche simbologie giá forgiate dalla pittura... Insomma, tutta una merceologia dell’estetica contemporanea al cui cospetto le opere di Marilina Marchica si presentano con uno smodato (alias senza moda) desiderio di fregarsene altamente e consapevolmente di tutto ciò. Una pittura che si fa già raffinato e concreto esercizio di nostalgia.
  Nostalgia di quel tempo in cui negli studi degli artisti si sentiva lo stesso odore pungente del fabbroferraio, del fuochista, del mesticatore; un batti e ribatti di lamiere che ostinatamente l’artista vuole far entrare nel suo paradiso del linguaggio, bruciando, bucando, corrodendo, graffendo le pareti uterine della superficie perché l’immagine fuoriesca urlando tutta la sua indisponibilità a stare al mondo; piegando, gualcendo, sporcando la vecchia tela fino a simulare lo stato di de-composizione dell’immagine, sia essa paesaggio, sia essa figura, non importa: paesaggi e figure “voci di dentro”, che nello stesso momento in cui invocano il confronto con la realtà se ne ritraggono rigettandola, per rifondare una visione autonoma e parallela.
  Questi quadri, infine, ci fanno desiderare quel tempo in cui un giovane pittore di nome Jackson Pollock sognava il futuro dell’arte scrivendo così in una lettera al padre, nel 1932:
«…Ancora una settantina d’anni e sarò un buon artista. Essere artista è la vita stessa: è vivere, voglio dire. E quando dico artista, non lo dico in senso stretto; penso all’uomo che costruisce le cose, che crea, che lavora la terra, le pianure dell’Ovest come le miniere di ferro della Pennsylvania. È sempre un problema di costruzione: con un badile, con una penna o con un pennello. (…) Questo è il nuovo compito dell’artista: costruire col muratore, col carpentiere…».
Ecco ciò che auguro a Marilina e alla sua pittura che sembra invocare, desiderare, quelle premonizioni di Pollock: un futuro in cui le sue visioni possano ingigantirsi, diventare architettura, sfondare il muro del suo studio, della galleria, e incarnarsi nella città.
Alfonso Leto. 22 agosto 2016.