LUIGI E FAUSTO PIRANDELLO / I DUE PIRANDELLO

AGRIGENTO | FAMGALLERY VIA ATENEA | 1 LUGLIO> 30 LUGLIO

La vicenda creativa (e umana) di Luigi e Fausto Pirandello rappresenta un caso straordinario, forse unico, specie se si considera che entrambi, padre e figlio, hanno raggiunto i vertici della fama. Scrittore, poeta e drammaturgo, insignito nel 1934 del Premio Nobel per la letteratura, Luigi Pirandello (Agrigento 1867 - Roma 1936) ha sempre coltivato, in privato, anche la pittura, mentre il suo terzogenito, Fausto (Roma, 1899-1975), uno dei maggiori pittori italiani del Novecento, si è cimentato in varie occasioni con la scrittura. Lo sguardo del pittore e quello del letterato, perciò, in Casa Pirandello si sono spesso incrociati. In una rara intervista rilasciata nel 1969 Fausto Pirandello, ormai settantenne, dichiarava che col padre parlava sempre di pittura e aggiungeva: «lui stesso era un pittore, il primo esemplare di pittore che ho conosciuto, perché l’ho visto fin da bambino». E in un appunto autobiografico pubblicato nel 1950 ricordava: «Se mio padre dipingeva, dipingeva anche mio fratello e questa petulanza indispettiva me solo cui per l’età tenera si vietava l’esercizio di quelle arti belle. Se contrariato e avvilito mi rivolgevo a mia madre, la trovavo intenta a ricamare fiori e rabeschi con variate matassine di seta d’incredibili colori. […] Erano pantofole, ma avevano l’aria d’un funerale». Luigi Pirandello aveva iniziato a coltivare la pittura da giovane, in Sicilia, sotto la guida del pittore Gaetano Castrogiovanni, che dava lezioni a sua sorella Lina. E poi per tutta la vita, durante i periodi di villeggiatura, ha continuato a dipingere, rigorosamente dal vero, soprattutto il paesaggio oppure ritratti di familiari e amici. Dipingere gli dava un senso di serenità e lo ritemprava dalle fatiche della scrittura. I suoi dipinti, comunque, sono stati esposti per la prima volta al pubblico solo nel 1937, dopo la sua scomparsa. Come notava nel 1943 suo figlio Stefano, il primogenito che aveva seguito le orme paterne e si era affermato come scrittore col nome di Stefano Landi: «è sintomatico, psicologicamente, che lui non usò mai, riferito a se stesso, il verbo dipingere: lui “pittava”». In altre parole Stefano Pirandello vuole sottolineare che il ricorso alla voce verbale meridionale «pittare», al posto dell’italiano «dipingere», rivelava nello scrittore siciliano la natura profonda, originaria, viscerale, del rapporto che lo legava alla pittura, paragonabile a quel legame speciale che si ha con la propria (lingua) madre. L’opera letteraria di Luigi Pirandello ha influenzato anche le arti figurative, specie nel periodo tra le due guerre. Emblematico, in tal senso, appare il romanzo Uno, nessuno e centomila, che affrontando questioni legate al tema dell’identità personale, coinvolge in modo particolare la sfera dell’autoritratto e del ritratto. Il volume esce nel 1926, ma la stesura del romanzo aveva impegnato lo scrittore per oltre quindici anni e dunque, tenendo conto del fatto che Luigi leggeva ai figli tutto quello che andava scrivendo, si può affermare che Fausto vi sia cresciuto insieme. Tra l’altro Fausto, che fa il suo esordio pubblico come pittore nel 1925, ventiseienne, è praticamente coetaneo di quel Vitangelo Moscarda, il protagonista del romanzo, che ha 28 anni quando il primo germe del male comincia a mettere radice nel suo spirito col pensiero: «ch’io non ero per gli altri quel che finora, dentro di me, m’ero figurato d’essere». Da notare, poi, anche il fatto che di Luigi Pirandello si conoscono solo alcuni autoritratti giovanili. In seguito sembra non essersi ritratto più, tranne che nel 1928, quando si raffigura di profilo in una spiritosa «autocaricatura» dal titolo Così sono…se vi pare. E del resto come avrebbe potuto l’autore di Uno, nessuno e centomila mettersi ancora davanti allo specchio per farsi il ritratto? Se dunque Luigi non si ritrae più, si rassegna però a essere «Uno, nessuno e centomila» per i numerosi artisti (compreso il figlio Fausto) che sempre più spesso, con l’aumentare della celebrità, lo ritraggono. E per quanto riguarda Fausto, forse non è casuale che l’opera con cui esordisce nel 1925 sia un quadro di nudo, intitolato Bagnanti, un soggetto sul quale il pittore tornerà ossessivamente per tutta la vita. «Le bagnanti – dirà più tardi – sono quanto di meno costruito esista, sono umanità immediata». E’ però soprattutto agli oggetti, miseri e misteriosi, «scompagni» (come recita il titolo di una sua natura morta), che il pittore affida il compito di «impersonare» quel senso di spaesamento esistenziale presente anche in tante novelle del padre. E nel 1941 Guttuso evidenzia di Fausto proprio quel «suo essere con gli oggetti in morbosa intimità». Le sue nature morte, nelle quali spesso è difficile perfino riconoscere i singoli oggetti, sembrano voler mettere alla prova l’osservatore, costringendolo ad affinare lo sguardo e a dubitare della verità della visione. Fausto Pirandello, insomma, mette volutamente in luce la problematicità del reale e spesso si ha l’impressione che a noi manchi la chiave per interpretare i suoi dipinti, che paiono alludere (specie quelli metafisici degli anni ‘20 e ‘30) a fatti noti solo al pittore. Ma come si è visto, oltre a dipingere Fausto Pirandello si è cimentato anche con la scrittura. Una fotografia lo mostra, cinquantenne, nel suo studio, seduto alla scrivania davanti alla macchina da scrivere, mentre alle sue spalle, su uno scaffale della libreria, incombe una foto di Luigi con la dedica: «Al suo Fausto, Papà». Il pittore è intervenuto nel dibattito artistico con ponderosi saggi critici, ma ha anche pubblicato dei testi di tono meno impegnato, facendo ricorso a un linguaggio più descrittivo, fra l’ironico e il beffardo, con accenni arguti e un uso personale della parola, ricorrendo a termini a volte desueti, altre del tutto inventati (nel 1942 collabora con la rivista «Quadrivio», negli anni ‘50 scrive su «La Fiera Letteraria»). Inoltre ha anche scritto molto per sé, usando la scrittura per fissare dei pensieri improvvisi prima che svaniscano. L’artista scriveva su qualunque pezzo di carta avesse sottomano, dai cartoncini d’invito alle buste delle lettere, utilizzando perfino gli involucri e la carta stagnola dei pacchetti di sigarette. Su un pacchetto di sigarette Giubek, per esempio, nel secondo dopoguerra, nel momento di maggiore vicinanza al movimento dell’astratto-concreto di Lionello Venturi, Fausto ha scritto: Il 1° carattere della mia pittura è la chiarità Il 2° la sintesi delle forme Il 3° è la forza del colore Ora va detto che il significato del termine «chiarità» per definire il carattere della sua pittura è apparso sempre un po’ misterioso, o quanto meno insolito. Chissà se nello scegliere questo termine per descrivere la sua pittura Fausto non si sia ricordato di quella «chiarità» che, nella famosa novella di Luigi Pirandello, Ciàula scopre la luna, acquista il valore di un’epifania? Un’eco della visione del mondo di Luigi Pirandello si avverte, poi, in varie dichiarazioni di Fausto, ma naturalmente sarebbe riduttivo (e sbagliato) considerare la sua opera pittorica come una sorta di traduzione visiva delle tematiche paterne. Semmai si può pensare a una certa «aria di famiglia». Tornando, per concludere, all’intervista rilasciata nel 1969, all’osservazione dell’intervistatore che: «C’è in questi ultimi suoi quadri un ritorno alla realtà oggettiva che ci circonda», Fausto ribatte offrendo una definizione «pirandelliana» del suo rapporto con la realtà, una chiave di lettura che appare assai utile per comprendere tutto il suo percorso: «Veramente io non mi sono mai discostato da un riferimento alla realtà, anche se, anzi proprio perché la realtà è l’invenzione che ciascuno di noi fa del mondo che percepisce». Breve Dialogo tra Luigi e Pierluigi Intervista di Luigi Troja a Pierluigi Pirandello Siamo entrambi avvocati, ma con una grande passione per l’arte, soprattutto per l’arte del ‘900. Ho conosciuto Pierluigi Pirandello tanti anni fa a Porto Empedocle, allorquando l’Amministrazione Comunale gli conferì la cittadinanza onoraria. Nato a Parigi, vive a Roma, ma siciliano nel cuore e con una siciliana, Giovanna Carlino, sposato. Suo padre Fausto, uno dei più grandi pittori del ‘900, se fosse nato per caso in Inghilterra o in Germania oggi sarebbe uno degli artisti più importanti e costosi del mondo; oggi rimane comunque uno dei pilastri della pittura del secolo scorso, che forse a causa del carattere introverso e dalla voluta distanza dal mondo politico (che tanto “sponsorizzava” gli artisti vicini a questo o quel partito) Fausto Pirandello resta un artista per veri intenditori della qualità e del pensiero. Fausto Pirandello è presente nelle più importanti collezioni private e nei musei più prestigiosi del continente europeo, tra questi si ricordano la Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma, il Tate Modern di Londra, il Centre Pompidou di Parigi, il Museo del ‘900 a Milano. Da tanti incontri con Pierluigi, nasce questo breve dialogo. Luigi Troja: Pierluigi quanto ricordi di tuo nonno Luigi? Pierluigi Pirandello: Fino all’estate del 1936 non avevo avuto molte occasioni di incontrare mio nonno, sempre in viaggio per il mondo al seguito di compagnie teatrali. Il tempo delle vacanze di quel 1936, nella Villa di San Filippo ad Anticoli Corrado (città natale di mia madre Pompilia), con lunghe giornate di luce estiva, favoriva finalmente un contatto che non so dire (allora avevo solo otto anni) quanto avessi desiderato; certamente mi sembrava eccezionale. Durante il giorno il nonno non stava molto con noi familiari a parte l’ora del pranzo. Rimaneva per ore chiuso a lavorare nella sua stanza, portando avanti la complessa stesura de I Giganti della Montagna. La Villa dove noi abitavamo, credo abbia ispirato il nonno, per la sua posizione lontana dal mondo, proprio come la villa dove è ambientato il dramma. L.T.: Proprio del 1936 sono alcuni dipinti di questa mostra. P. P.: Mio nonno è sempre stato un amante della pittura e pittore egli stesso ed anche se il suo iniziale desiderio era che mio padre Fausto facesse lo scultore, mio padre volle solo dipingere. Mio nonno dipingeva sempre durante le sue pause ed il suo tempo libero. Quell’estate del 1936 non c’erano tanti supporti su cui dipingere, ma il nonno voleva farmi un ritratto (così come fece anche con mio padre Fausto ad 11 anni e con mia nonna Antonietta Portulano nel 1911) e per farmi stare buono in posa, mi disse che a me avrebbe fatto il ritratto di dimensioni più grandi di quello fatto agli altri familiari: e così fu. Mi costrinse a star seduto e a posare, ma realizzò il dipinto che oggi vedete e che è di dimensioni maggiori rispetto agli altri. Quell’estate dipinse anche due bellissimi paesaggi di Anticoli Corrado. Purtroppo non fu solo la sua ultima estate con noi, ma anche la sua ultima estate in vita. L.T.: Hai molti ricordi di nonno Luigi? P. P.: Mio nonno è sempre stato un uomo di passione. Prendeva sul serio ogni forma d’arte, anche la pittura. Ricordo ancora bene alcune arrabbiature di quell’estate, con la tavolozza ed i colori in mano: più di una volta lanciò in aria pennelli e colori e ricordo come mio padre gli andasse dietro preoccupato che cadesse tra le pietre della campagna quando andava via arrabbiato. È stato comunque un grande nonno e mio padre Fausto ne era molto affascinato, pur se nel prosieguo della sua vita voleva che a casa io parlassi di pittura e non di teatro. L.T.: E tuo padre? Tu sei uno dei maggiori esperti della pittura e del pensiero di tuo padre. P. P.: Io conosco la storia di molte delle opere di mio padre, per essergli stato sempre particolarmente vicino. Ho da poco finito di scrivere un libro, che spero veda presto la stampa: racconto la storia di molti quadri, perché ogni quadro, ogni opera ha la sua storia dietro, ha la sua vita che non finirà mai. L.T.: In questa mostra esponiamo molte opere su carta, i cosiddetti “pastelli”, da molti ritenute, a torto, opere minori. P. P.: mio padre ha sempre usato la materia con una forza particolare, ma esistono alcune opere su carta e pastelli in particolare, di straordinario vigore e qualità. Fausto Pirandello ha sempre avuto bisogno di essere più efficiente prima iniziare a creare un quadro ad olio. Questa necessità la dimostrava chiudendosi in se stesso. Poi inseriva un foglio di carta su una tavola di legno su cui realizzava il pastello. Se il pastello non lo soddisfaceva, lo strappava immediatamente (veramente distrusse anche diversi quadri ad olio), però se il pastello gli piaceva era comunque più interessante di un quadro ad olio. Questo fatto sta in ogni caso a dimostrare quanta sofferenza mio padre pativa per creare un quadro. L.T.: tanti i temi percorsi da Fausto Pirandello nella sua vita. Le composizioni degli anni ’20, la pittura metafisica tra il ’20 ed il ’30; le nature morte e gli oggetti scompagni fino a tutto il ’40, per poi riprenderli anche in seguito quando scompone le figure, ma soprattutto Fausto è conosciuto dai più per le sue Bagnanti. Un Grande artista, un uomo sempre chiuso in se stesso e sempre però desideroso di esprimere una grande arte. Pur avendo raggiunto livelli altissimi, mai ripetitivo. P. P.: Luigi caro, tu ormai sei uno dei maggiori esperti della pittura di papà e per questo ti ho voluto nella Fondazione (ride…). Quando chiedevano a mio padre di ingrandire un pastello riguardante bagnanti si realizzava concentrandosi. I pastelli più belli che riuscì a creare, secondo me, furono quelli realizzati dai primi anni settanta sino alla sua morte avvenuta nel 1975, con precisione anche con le pelli scure delle bagnanti. Lo stesso cammino fece anche Renato Guttuso nella sua attività pittorica. I pittori pieni di animo siciliano crearono capolavori che commossero tutti gli ammiratori della pittura siciliana. Anche se mio padre è nato a Roma, non ha mai smesso di essere siciliano ed agrigentino, non ha mai smesso di ricordare le estati trascorse con la madre a Porto Empedocle e ad Agrigento. L.T.: … Comunque Fausto Pirandello non è solo “bagnanti”... P. P.: Si parla tanto delle bagnanti quando si affronta la discussione su quale fosse il soggetto più amato da mio padre. A mio sommesso avviso Fausto Pirandello amava apparire anche personalmente e la conferma in questa tendenza paterna sta nei numerosi pastelli che sono uno più bello dell'altro. Il lato più recondito dei suoi autoritratti appare evidente che sia quello che l'osservatore non riesca più a capire chi sia realmente Fausto Pirandello. Non so molto sulla vita degli artisti e quindi se si sono rappresentati in modo tale da essere sempre più difficile vedere oltre i loro occhi. Quando scoprirò qualche artista che ha saputo capire che cosa regnava nell'anima di Fausto Pirandello, io proverò un'enorme invidia verso costui. L.T.: … ne abbiamo di cose da dire... P. P.: e non ne mancherà l’occasione. Sai quanto mi piace parlare di pittura, dei Pirandello, della mia terra. Vi ringrazio molto per questa mostra …”I due Pirandello”, se avessi dipinto anche io avremmo fatto “i tre Pirandello”.